Il Decreto Cura Italia E Le Filiere Produttive | Assimpresa

PEDRO, ADELANTE CON JUDICIO, SI PUEDES

Il Decreto Cura Italia e le filiere produttive

Le misure del decreto rischiano di far saltare intere filiere produttive

Il Decreto “Cura Italia” è entrato in vigore, ma i 2 milioni di fatturato, posti come soglia per le imprese che si vedono sospesi i pagamenti di tasse e contributi fino al 31 maggio, rischia di essere letale per intere filiere produttive sarebbe stata più appropriata una misura per evitare che saltasse la catena dei pagamenti clienti/fornitori provocando una mancanza di liquidità per le aziende.

Per tutte le aziende che hanno un fatturato superiore ai 2 milioni di euro, non è praticamente cambiato nulla, se non per la posticipazione dei versamenti Iva su riposizionata su date immaginate da chi di azienda sa nulla!

PMI non vuol dire piccole medie imprese, ma piccole e micro: chiedere al Ministero del Lavoro.

Fonte ANPAL – Agenzia Politiche Attive del Lavoro.

Si parla di imprese con una media di poco oltre i tre dipendenti. Ove per imprese s’intendono tutte le partite IVA. In queste imprese la liquidità si genera di mese in mese. Qualcuno lo spieghi a chi scrive detti provvedimenti senza sapere di che parla, uno stage in un’azienda non farebbe male.

È stato quindi un errore madornale escludere dalla sospensione del pagamento di tasse e contributi fino al 31 maggio le aziende sopra questa soglia di fatturato in quanto dette aziende sono una parte essenziale di tutte le filiere. Aiutare le aziende più piccole, ma non quelle principali, all’interno di una filiera significa di fatto interromperla.

Occorreva operare una scelta in base al settore di appartenenza e non sul fatturato soprattutto per quei settori che fanno riferimento dove si elencano le attività commerciali che non sono state sottoposte a sospensione.

Sarebbe stata una misura utile a evitare che si interrompesse la catena dei pagamenti clienti/fornitori. Al momento, infatti, le aziende più grandi potrebbe trovarsi nell’impossibilità di pagare i dipendenti, le imprese più piccole che lavorano per loro, i professionisti, i collaboratori, le partite Iva, con tutti gli effetti che si possono immaginare.

Di certo sono positivi gli investimenti sulla sanità, che sono certamente produttivi. Il blocco dei licenziamenti, ha il sapore di una misura demagogica perché se nel frattempo le aziende falliranno (e ce ne saranno) non ci saranno più posti di lavoro da salvaguardare. Servivano provvedimenti di sostegno dirette e immediate per le imprese con garanzia dello Stato.

La cassa integrazione è sostitutiva di uno stipendio, ma la cosa più importante è mantenere vive le imprese, altrimenti non ci saranno più stipendi. La cassa integrazione è un palliativo alimentata per altro dalle imprese che sopravviveranno!

Il sistema bancario è lento, burocratico, ingessato e si rifà a norme ancora ancorate al solo parametro, il merito creditizio, cioè l’impresa deve essere “virtuosa”. Giusto ma dopo il corona virus le imprese virtuose saranno poche e con un PIL in picchiata che si prevede del 5% si stima che il 15% o oltre delle imprese andranno fallite trascinando con loro almeno 10 milioni di disoccupati.

Pensiamo che con quanto prevede la legge sulla “crisi d’impresa” molte che fino ad ora hanno resistito trascinate dal contagio finanziario che non è solo nell’ambito sanitario alzeranno bandiera bianca.

da Bologna, 24 marzo 2020

A cura di Alberto De Lorenzi membro del comitato di Indirizzo e Vigilanza Assimpresa

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