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LEADERSHIP E ORGANIZZIONE AZIENDALE parte 2a introduzione

Introduzione

La leadership da oltre un secolo continua a interessare da un lato le imprese e dall’altro gli psicologi sia come oggetto di studio sia come ambito di pratiche professionali.

Il tema per quanto ampiamente noto e trattato, pare ancora insufficiente per coglierne le concrete dinamiche dei gruppi di lavoro e delle organizzazioni dove la leadership si declina e riconoscerne gli effetti sulle persone, sul clima organizzativo, sulla soddisfazione per il lavoro e sulla produttività. Soprattutto risulta insufficiente per aiutarci a rispondere alle domande di base che si fanno gli osservatori o professionisti che entrano in un’azienda, in una scuola o in un ospedale per cer-care di capire il loro funzionamento o per contribuire a migliorarlo:

– perché le persone lavorano in quel modo?

– cosa le tiene insieme e facilita gli scambi di fiducia?

– cosa le motiva ad impegnarsi per gli stessi obiettivi?

– come riescono a coordinare i loro sforzi nelle attività quotidiane e a risultare efficaci ed efficienti?

Tutte domande che potrebbero anche essere formulate “al contrario” (mettendo in risalto quello che non va, gli errori e le barriere al buon andamento organizzativo) e che quasi sempre chiamano in causa chi si trova in posizioni di responsabilità.

In questa breve nota introduttiva ci si limiterà a richiamare tre aspetti: le principali ragioni che giustificano la continua attenzione di ricercatori e professionisti per la leadership; vari punti di consenso e qualche elemento di novità nelle recenti riflessioni sulla leadership; alcune evidenze di ricerca utili per interventi di miglioramento della leadership nei conte-sti organizzativi.

Perché continuare a occuparsi della leadership?

Si possono evidenziare almeno tre ragioni che spiegano il persistente interesse degli Psicologi (e degli studiosi di altre scienze sociali) per la leadership.

Differenti funzioni dell’influenza sociale

La prima ragione concerne il fatto che si tratta di un complesso fenomeno di influenza sociale (Hollan-der, 1992) ovvero di natura relazionale. Esso è fondato su aspettative di reciproca fiducia tra gli attori ed è caratterizzato da molti scopi, assai rilevanti per costruire e regolare una soddisfacente esperienza della persona nei suoi ambiti di vita. Infatti, soprat-tutto nei contesti di lavoro, la leadership svolge molteplici funzioni: coinvolgere le persone nel delineare una visione del futuro densa di obiettivi attraenti e sfidanti; mobilitarle per tradurre tale vi-sione in obiettivi concreti, significativi per se stesse e per l’organizzazione in cui operano; incoraggiar-le e sostenerle nella realizzazione delle aspettative individuali e collettive; facilitare la consapevolezza delle possibilità di riuscita, ma anche degli ostacoli da superare e delle necessità di cambiamento; dedicare attenzione alle persone stimolandone l’iniziativa e l’assunzione di responsabilità come pure riconoscendo il valore delle loro prestazioni e i loro sforzi per ottenere i risultati attesi; contribui-re a costruire un comune linguaggio e una cultura condivisa per interpretare le dinamiche della vita lavorativa, ecc.

Quando questo insieme di funzioni costruttive della leadership non si realizza è assai probabile che proprio le relazioni ne risentano. Esse perdono gran parte della loro forza propulsiva e rischiano di impoverire i processi di leadership, conservandone solo le caratteristiche formali di “comando e controllo” che spesso comportano deresponsabilizza-zione, decremento motivazionale, conformismo e insoddisfazione tra i lavoratori.

Un concetto in continua evoluzione

La seconda ragione deriva dal notevole grado di variabilità di questo fenomeno relazionale nei diversi contesti d’uso e nel corso del tempo che impone agli Psicologi di continuare a indagare sulla leader-ship (Novara e Sarchielli, 1996). Essa non solo si presenta in modo diverso, ad esempio, in una scuola, in un’azienda industriale, in una cooperativa o in un ospedale, ma assume una sua configurazione più o meno temporanea in rapporto a fattori contestuali di tipo socioculturale che spingono a evidenziarne alcune dimensioni lasciandone altre sullo sfondo.

Tale carattere proteiforme, influenzato dallo zeitgeist (”spirito del tempo”) della società, si intravvede osservando in sequenza i cambiamenti del modo di definire e analizzare la leadership nel corso dei decenni. Ad esempio, negli anni ’20 sono pre-dominanti le teorie del Grande Uomo (e le Teorie dei tratti), che si focalizzano su attributi personali eroici in linea con le esigenze di guida della prima gran-de espansione industriale. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, i disastri della guerra e le reazioni agli abusi di potere (in campo militare ma anche nelle aziende tayloristiche) orientano gli studi verso la comprensione degli stili di leadership democratici, autocratici e laissez-faire. Da allora l’identificazione degli stili comportamentali più efficaci di leadership rappresenta una delle linee di indagine di notevo-le utilità pratica che prosegue sino ai nostri giorni (Hussain e Hassan 2016).

Nella seconda metà del XX secolo i modelli organizzativi delle grandi imprese si diffondono, divengono centrali sia il potere dei livel-li gerarchici sia le burocrazie del pubblico impiego.

Tuttavia, comincia a cambiare anche la composi-zione della forza lavoro con crescenti livelli di istruzione e più elevate aspettative di riuscita professio-nale. In questo contesto il nuovo “spirito del tempo” risulta sfidare le gerarchie della leadership formale essendo in favore dell’uguaglianza di opportunità, della riuscita individuale, del riconoscimento dei meriti e del progresso personale oltre che colletti-vo stimolati dal movimento delle Human Relations.

Così gli approcci alla leadership cambiano ancora: si cerca di prestare attenzione ai numerosi fattori situazionali che orientano la leadership (Teoria della leadership situazionale di Ken Blanchard, Teoria delle contingenze), cresce la sensibilità verso le differenti esigenze dei “seguaci” di un leader e verso le istanze partecipati-ve delle persone (Teoria dello scambio Leader-Mem-bro, LMX). Inoltre, mentre sin dall’inizio degli studi la maggior parte degli approcci è focalizzata sulla figura del leader e sulle sue capacità di convince-re i collaboratori, nella parte finale del secolo XX emerge più esplicitamente il ruolo influenzante dei followers: si enfatizza così la dimensione rela-zionale della leadership e il suo carattere di feno-meno di gruppo.

A cavallo dei due secoli ancora una volta fattori esterni (economici e socioculturali) spingono a un altro cambiamento di prospettiva nella considera-zione della leadership. Le turbolenze del mercato del lavoro, i frequenti momenti di instabilità e crisi economica e le trasformazioni aziendali (orientate verso “organizzazioni piatte”, meno gerarchizzate) sembrano richiedere una leadership flessibile che intervenga nella gestione dei cambiamenti organiz-zativi. Nascono così due orientamenti: il primo vede nella leadership un modo di regolare con equità gli scambi interpersonali, cioè promuovere transazioni giuste tramite “ricompense specifiche” per le persone che si impegnano (Teoria della leadership transazionale); il secondo si focalizza sulla ricerca di una convinta adesione dei collaboratori ai fini organizzativi.

Emerge la figura carismatica del leader che esercita la sua influenza offrendo valor e una visione attraente del futuro, la personalizzazione dei rapporti, una risonanza emotiva in modo da coinvolgere le persone anche affettivamente nell’impresa di ope-rare sempre al meglio delle loro potenzialità (Teorie della leadership trasformazionale/carismatica).

D.ssa Valeria Guerra

Psicoterapeuta – Docente di metodologie Anti-aging e Antistress

Responsabile del dipartimento di Mentoring & Coaching

presso la Scuola d’Impresa di Assimpresa dal 2005

 

 

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