Filippi

CI VEDIAMO A FILIPPI

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Prima dei consueti saluti pre ferragostani alcune considerazioni su quel troveremo a settembre. La resa dei conti.

Ometto la prefazione di rito per la  quale ne consegue che il nostro Paese deve proseguire lungo la strada del risanamento dei conti e della riduzione delle sofferenze bancarie per migliorare la propria competitività. E dunque? Quda subito la zampata conclusiva. Le incertezze politiche in Italia hanno indebolito ulteriormente l’euro, aggravando i precedenti trend” sostiene il Fondo, bastonando preventivamente – ovvero, solo sulla base delle loro peraltro sconclusionate esternazioni – i nuovi governanti giallo-verdi. Per cui, “nelle economie indebitate dell’Eurozona (Italia, Francia, Spagna) un consolidamento di bilancio non negativo per la crescita resta indispensabile per favorire un processo di svalutazione interna e rafforzare l’esposizione con l’estero.

Ora, otto anni di austerity hanno dimostrato che parlare di “un consolidamento di bilancio non negativo per la crescita” è come parlare di “dieta dimagrante non negativa per il grasso”: un ossimoro. Ma è quel che prescriverebbero i dottori del Fondo. Diciamo la verità: la sensazione è che ci siano come in tutte le redazioni del mondo quei giorni in cui a qualcuno tocca di dover riempire degli spazi bianchi e di non avere idee nuove per farlo come si deve. Finisce che ricicla quelle vecchie. Ma poiché, dall’esterno, nessuno osa immaginare che quei verdetti, quei pensieri, altro non siano che l’effetto semiautomatico di meccanismi burocratico-istituzionali privi di sostanza, eccoci in tanti a strologare sul percome e sul perché proprio adesso queste parole, questi moniti, questi allarmi.

Tranquilli, non è cambiato niente. Siamo alle solite: l’Italia deve stare nel riformatorio a fare i compiti dei ripetenti. Vent’anni fa venne messa lì dalla gestione Andreatta-Prodi-Ciampi, convinta che un Paese ingovernabile, percorso da irredimibili scorrerie di interessi “particulari”, potesse essere ricondotto alla disciplina economica e in fondo civica soltanto da un fortissimo “vincolo esterno”, quello rappresentato dall’ingresso nella fase uno dell’euro, con quel tasso di cambio e con quei parametri economici. Ciò che è successo da allora è solo la conseguenza di detta impostazione tutt’altro che “montessoriana”. L’Italia ripetente, l’Italia teppista ha continuato a esserlo, è rimasta nel riformatorio e non accenna a poterne uscire. Periodicamente, qualcuno della mitica Troika, coadiuvato dalle solite agenzie di rating, s’incarica di ricordarcelo.

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