IL DEFICIT DEMOGRAFICO E’ PIU’ GRAVE DEL DEFICIT DEL BILANCIO

I dati diffusi ieri dall’Istat sulla popolazione nel nostro Paese al 31 dicembre 2018 confermano il drammatico trend negativo del nostro bilancio demografico; quello evidenziato da anni dal nostro Centro Studi sulle scoperture del welfare. La popolazione diminuisce in valore assoluto, e in più invecchia di età; le nascite presentano per l’ennesima volta un ulteriore calo in valore assoluto (439.747 nuovi nati, ennesimo record negativo dall’Unità d’Italia!). Senza l’afflusso di persone dall’estero la diminuzione della popolazione sarebbe ancora più marcata – e senza i bambini nati all’estero o nati da genitori stranieri il nostro bilancio demografico sarebbe ancora più drammatico.

Insomma, i dati sulla popolazione in Italia sono in profondo rosso, ancora peggio dei conti pubblici. E se per il deficit del bilancio dello Stato e per il debito pubblico il nostro Paese ha rischiato la procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea, sul gravissimo deficit demografico nessuno sembra preoccuparsi. Così il nostro Paese invecchia sempre di più, le nuove generazioni sono sempre meno numerose, e così nascono sempre meno lavoratori, sempre meno innovatori, sempre meno “produttori di futuro”.

È un deficit preoccupante, difficilmente reversibile, anche perché in questi anni arrivano in età fertili generazioni molto meno numerose di quelle del baby boom (nati tra il 1955 e il 1965, circa), che hanno concluso la loro età fertile.

Insomma, sempre meno giovani, e soprattutto sempre meno donne, che fanno mediamente sempre meno figli.

Davvero questo dato può lasciare indifferente la politica, l’economia, la società tutta? Davvero siamo convinti che “meno siamo meglio stiamo”, e che potremo resistere, come popolo e come sistema Paese, se e quando avremo tre o quattro anziani ogni lavoratore attivo?

Il deficit demografico è diventato più grave del deficit del bilancio dello Stato: ma nessuno agisce.

Certo, modificare i comportamenti della demografia richiede interventi di lungo periodo, e processi culturali; non bastano pochi euro di bonus per convincere i giovani a fare più figli Serve un mutamento culturale, un punto di vista sul futuro, una riflessione che vede le persone (e soprattutto le nuove generazioni) come la prima e più importante risorsa di futuro di un popolo e di un paese. Invece oggi, se si vede una famiglia con tre figli o più, il commento più frequente è: “Ma chi ve lo ha fatto fare?”, o peggio “Siete degli irresponsabili, volete far morire il pianeta”, e i più pietosi usano l’ironia: “Ma non avete la televisione di sera, in casa”?

Servono, insomma, buone ragioni, ma anche buona cultura, per immaginare che le nuove generazioni riescano ad invertire questa drammatica deriva anti-natalità.Avere però buone e decise politiche familiari sarebbe certamente un buon inizio: lo Stato, il Governo nazionale, le pubbliche amministrazioni regionali e comunali potrebbero dare un forte impulso alla ripresa della natalità, se investissero decisamente risorse e progetti sulle nuove famiglie. Così come minimo i giovani non si sentirebbero soli, davanti alla bellissima impresa di mettere al mondo un figlio!

Qui emerge l’altro drammatico dato del nostro Paese (che andrebbe sempre ricordato quando si comunicano i dati sulla popolazione): l’esistenza di uno spread sulle politiche familiari, cioè il differenziale tra quanto si spende mediamente per le famiglie nei Paesi dell’Ue, e quanto invece spende il “sistema Italia”.

Qui abbiamo uno spread che vale oltre un punto di Pil, a sfavore del nostro Paese. In altri termini, mediamente nella Ue si spende circa il 2,5% del Pil per politiche familiari specifiche (sostegni ai genitori, alle giovani famiglie, alla natalità, alla conciliazione famiglia-lavoro…), mentre in Italia non si arriva all’1,4%. In sostanza, in euro-soldoni, ci mancano quasi 17 miliardi di euro, risorse da investire a sostegno delle famiglie. Mica poco, vista l’aria che tira.
Se poi confrontiamo questo dato con i Paesi più virtuosi (Francia e Germania), come per lo spread finanziario (che confronta Italia e Germania), si sfiora un differenziale/spread di quasi il 2%. Quindi, per noi, sarebbero circa 34 miliardi in più per le famiglie. Ma molto incide su questi dati la massiccia presenza di immigrati di seconda e terza generazione; i cattivi frutti si vedranno tra poco.

Ad ora si conferma qui il paradosso del nostro Paese: ogni giorno (ogni ora, in certe giornate “calde”) seguiamo l’andamento dello spread dei titoli pubblici, ma nessuno si interessa di uno spread molto peggiore, quello delle pessime politiche per la famiglia che tuttora permangono, nel nostro Paese, con una drammatica coerenza, degna di miglior causa, tra governi di centro-destra, centro sinistra, giallo-verdi, tecnici, di solidarietà eccetera.

Eppure le famiglie patiscono molto più questo spread, questo abbandono da parte dello stato, di quanto non soffrano dello spread dei depositi pubblici. Ci si avvia d essere un paese di soli vecchi e di vecchi soli.

 

 

Cerca