IMPOSTE: proporzionalità ed equità

La proporzionalità e l’equità – Il carico fiscale deve essere distribuito secondo le reali possibilità dei contribuenti, trattando in modo eguale situazioni eguali ed in modo diverso situazioni differenti. E’ il principio della capacità contributiva sancito dall’art. 53 della nostra costituzione “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Tale principio, come sostiene Franco Gallo, giudice presso la Corte Costituzionale, andrebbe interpretato e applicato come assorbito nel principio di eguaglianza, partendo dal presupposto che i tributi hanno come prima finalità la ridistribuzione della ricchezza, che è ben più complessa rispetto alla funzione meramente di contropartita per i servizi collettivi ricevuti. Il concetto di redistribuzione della ricchezza, a mio parere, non si deve principalmente limitare a quella di sostegno monetario, ma a quella di benessere generale e collettivo. Questo si consegue quando i servizi erogati dallo stato a tutti cittadini, posseggono livelli di uniforme diffusione, anche territoriale, di tempestività e di efficienza tali da rendere situazioni di benessere qualitativo diffuso. Infatti, la generica redistribuzione, a certe condizioni, non è sufficiente a migliorare il livello di povertà o il livello sociale tale da garantire una vita dignitosa e decorosa per la persona, mentre potrebbero esserlo di più fornendo standard di servizio. La “missione” redistributiva del fisco, finalizzata all’eguaglianza, ha influito sul principio di capacità contributiva, non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente. La nozione di capacità contributiva sarebbe quindi sganciata dalla necessaria esistenza di una ricchezza della persona-contribuente e non richiederebbe la titolarità delle situazioni giuridiche soggettive di contenuto patrimoniale.

Questa interpretazione nell’applicazione più “creativa” ha portato, ad esempio, all’introduzione dell’IRAP che individua il presupposto dell’imposta non nel possesso di un reddito, ma nell’esercizio abituale di un attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e/o allo scambio di beni e/o di servizi . Un imposta ingiusta che il “manifesto” dei Commercialisti considerava da abrogare.

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