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Pensioni e lavoro: la lezione di Papa Bergoglio

Meglio il Papa delle Papesse. Un Pontefice non parla mai per caso e crediamo, mai con uno scopo solo. Parla invece sempre per tutti e a tutti. Del complesso discorso del Pontefice il primo tema che colpisce è l’accorato appello a non disgiungere persona e lavoro, “due parole che possono e devono stare insieme. Perché l’individuo si fa persona quando si apre agli altri, alla vita sociale, quando fiorisce nel lavoro. La persona fiorisce nel lavoro. Il lavoro è la forma più comune di cooperazione che l’umanità abbia generato nella sua storia”.

Il primo affondo: “Il lavoro è una forma di amore civile: non è un amore romantico né sempre intenzionale, ma è un amore vero, autentico, che ci fa vivere e porta avanti il mondo”.

Siamo lontani dal Celentano di “chi non lavora” e quel che a ciò segue, ma il problema è chiaro: cislini, sindacalisti abbiate chiaro che se non fate il vostro dovere state sbagliando strada, la persona non è solo lavoro …. Se amate l’uomo non potete non accoglierlo, ma dovete anche dargli lavoro.

Secondo punto: “La persona non è solo lavoro, perché non sempre lavoriamo, e non sempre dobbiamo lavorare. Da bambini non si lavora, non lavoriamo da vecchi”. Capito?

Smettere di lavorare non può essere la scusa per andare in pensione e prendere due stipendi (di cui magari uno in nero), come purtroppo capita sovente: sindacalisti, cislini, lavorate in questa direzione, non tacete per paura di non esser compresi o di veder scappare qualche tessera.

Si lavora per il Regno dei Cieli anche facendo modificare le riforme troppo “severe”. E pazienza se l’Inps, che non è stata creata da Dio nei primi sei giorni di vita del mondo, rischia di avere qualche problema: l’Inps è stata creata per l’uomo e non viceversa.

Qui inizia un crescendo: sulle orme di Giovanni Paolo II anche il Pontefice argentino parla della necessità che ci sia un buon sindacato, che il sindacato sia sano, non sia “partitico”, nel senso di non assumere i difetti deteriori della politica , che i sindacalisti non siano “corrotti”, cioè non si lascino affascinare dalle carriere, dal denaro, dal potere.

E poi il cavallo di battaglia, la fase davvero personale di un tale discorso: anche il sindacato, e quindi i sindacalisti, devono uscire dalle loro stanze andare verso gli ultimi, le periferie.

Già, ma quali sono queste periferie? Chi non ha lavoro, chi quel lavoro l’ha perduto, chi è poco pagato, chi non ha titoli per affrontare da solo il mare del libero mercato. I giovani che lo cercano e i vecchi che vorrebbero talora sfuggirvi. Chi ha pensioni d’oro, ma anche chi ha pensioni da fame. Chi vive per lavorare e finisce per dimenticarsi della famiglia e di se stesso. Chi lavora per vivere e non ce la fa coi soldi a fine mese. Chi rincorre la giustizia sociale.

Non l’ha detto, ma forse il mestiere del sindacalista agli occhi del Papa ha qualche cosa in comune con quello del prete: così mi pare si spieghino gli appelli affinché i sindacalisti vadano fuori dalle porte dei sindacati. Anzi, il grido è stato ancor più chiaro; sindacalisti cislini, proprio voi, mica altri, dirigetevi oltre le vostre stanze e le vostre sedi: alzatevi e uscite. Siate buoni cislini, dice Francesco, perché non c’è una buona società senza un buon sindacato, e non c’è un sindacato buono che non rinasca ogni giorno nelle periferie, che non trasformi le pietre scartate dell’economia in pietre angolari.

Come intendere queste frasi? Chiaro che il Papa sa quale sia il ruolo del sindacato nella società moderna e come esso sia in crisi: ma sa anche che esso contiene ancora enormi risorse in sé e soprattutto che, come tanti strumenti dell’uomo, essi non sono né perfetti, né privi di mende.

Ma fin quando non si inventerà nulla di meglio per difendere l’uomo e il lavoro e l’uomo dal lavoro…

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