POPOLARE DI BARI

Cerchiamo di capire la verità senza dare colpe a chi non ne ha.

Gigantismo velleitario e credito clientelare, intanto, hanno distinto gli anni dello sviluppo più recente, come sarà oggi compito dei commissari analizzare. Nella distrazione di tutta la filiera dei controlli, interni ed esterni, se è vero com’è vero che ancora 5 anni fa con la benedizione, anzi con la moral suasion della Banca d’Italia, alla Bari era stato permesso (cioè richiesto) di accollarsi l’onere del salvataggio delle Cassa di risparmio di Teramo, la famigerata Tercas, che ha portato ulteriori ammanchi al patrimonio dell’acquirente. E anche con questa operazione, Jacobini (padre padrone) aveva voluto consolidare il suo ruolo istituzionale, all’ombra del quale la gestione discutibile dell’istituto continuava indisturbata.

Poi il contesto. Il contesto di una Puglia laboriosa e imprenditoriale, attraversata però anch’essa – sia pur meno di Campania e Calabria – dalla malavita organizzata, una presenza tentacolare e potente anche nel mondo dell’economia e delle imprese, una Puglia politicamente gracile, con uno Stato sostanzialmente assente. Un contesto in cui far credito sano è difficile per i più bravi e per i meno collusi, figuriamoci.

Infine, certo: la Banca d’Italia. Ormai espropriata dal potere completo della vigilanza che il vecchio ordinamento le conferiva, dove aveva autonomia nel dosaggio della severità e della clemenza. Quel modello funzionava: preveniva, sopiva, sosteneva. Comandava e ne aveva i poteri.

Oggi il regime delle vigilanza è tutto improntato ai metodi e alla lama affilata della Bce, una strana vigilanza di obbedienza tedesca, che non ha avuto nulla da ridire di fronte al salvataggio appena varato della Nord LB – una delle più grandi banche commerciali della Germania posseduta dagli Stati della Bassa Sassonia e della Sassonia-Anhalt (al 65%) – da parte dei suo soci pubblici che ci hanno messo quasi 4 miliardi di euro; con il pretesto che ci sarebbero stati acquirenti privati (sì, i fondi Cerberus e Centerbridge che offrivano però appena 600 milioni!); ma era la stessa Bce che aveva detto “niet” all’intervento del Fondo interbancario di garanzia nella Tercas, rilevando appunto che il Fondo ha natura istituzionale pubblica. E così non è!

Ecco, di fronte a questo doppiopesismo della vigilanza bancaria europea i poteri della Banca d’Italia risultano molto ridimensionati, e questo è ormai chiaro a tutti i banchieri, oggi in Italia: forse non lo era ancora abbastanza cinque anni fa a Jacobini. Ma su certe prudenze del passato, certe irresolutezze, prima di lanciare il crucifige occorre ricordarsi che spesso, in questo campo, un allarme è una profezia che rischia di auto avverarsi. E prima di lanciarlo si è portati a riflettere una volta di più, forse una volta di troppo. Se una colpa può essere senza dubbio addebitata a questa Banca d’Italia è di non aver detto chiaro e tondo quel che è ormai palese, essendo scritto se non nella lettera sicuramente nel senso della nuova normativa unitaria: che la vigilanza non è più materia sua.

 L’Istituto centrale si è ridotto ormai, in ogni singolo Paese europeo, a un pletorico centro studi.

E domani? Domani il salvataggio può e deve trasformarsi in un’opportunità: amministrare credito specialistico nel Sud Italia, un incrocio tra il credito classico – quello che piace tanto alla Bce, quello che presta denaro solo ai novantenni purché accompagnati dai genitori – e quello nuovo, che credito non è, il venture capital, il private equity e tutti i nuovi strumenti finanziari (ma pur sempre attingibili in banca) che aiutano le piccole e medie imprese di talento (al Sud ce ne sono tante) a crescere.

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